Un articolo di Aldo
Cazzullo pubblicato nei giorni scorsi su Corriere.it
Ha già la lista dei ministri. Presidente del
Consiglio: sua sorella. Pare di vederlo, Vittorio Sgarbi, al Quirinale, tra i corazzieri,
con la mano benedicente del capo dello Stato sulla spalla, che legge in favore
di telecamere: a Palazzo Chigi, prima donna nella storia unitaria, Elisabetta
Sgarbi. Alla Giustizia, la radicale Rita Bernardini. Agli Esteri un’altra
donna: Samantha Cristoforetti. E invece un uomo, da definirsi, alle Pari
opportunità. Alle Finanze, un finanziere: Francesco Micheli. Allo Sport, un
altro tecnico inattaccabile: Gianluigi Buffon. Al Turismo, l’italiano più
famoso al mondo: Andrea Bocelli (che è già molto impegnato, per cui Sgarbi
pensa anche a Marisa Melpignano, proprietaria di una masseria di lusso in
Puglia, che lo ospita volentieri). All’Istruzione, Geminello Alvi.
All’Ambiente, Daniele Kihlgren, specializzato nel far rivivere gli antichi
borghi. Al Commercio estero il miglior cuoco: Massimo Bottura. Alla Salute, la
senatrice a vita Elena Cattaneo. Al Lavoro, l’imprenditore di Tecnogym Nerio
Alessandri. Unico ministro uscente confermato: Marco Minniti agli Interni.
La squadra
Sgarbi annuncerà il governo ai giornalisti oggi,
accanto al cofondatore del partito, che si chiama Rinascimento come il loro
libro: Giulio Tremonti. Che sarà, va da sé, ministro del Bilancio e/o del nuovo
dicastero in cui confluiranno il Tesoro e i Beni culturali (in alternativa Sgarbi
vede Michele Ainis). Il programma è vasto: abolire le Regioni; puntare sui
piccoli Comuni; dividere i grandi in comunità non superiori ai 200 mila
abitanti; pensione a 65 anni per tutti, con possibilità di proroga a 75; «non
costruire nulla prima che sia recuperato l’ultimo edificio storico in
abbandono». Per lo Sviluppo economico il modello è Slow Food: pensare locale,
agire globale; valorizzare le piccole patrie, la bellezza diffusa, i prodotti
locali, le eccellenze periferiche.
Farinetti: «In ogni caso, gli starò vicino»
Diciamo la verità: in molti avevamo temuto che prima
o poi Sgarbi sarebbe finito in galera. Perseguitato da centinaia di querele.
Inseguito da almeno altrettanti mariti. Tenuto d’occhio dalla magistratura, di
cui è fiero avversario dai tempi di Manipulite e Sgarbi quotidiani.
Chiacchierato da colleghi e avversari (indimenticabile l’inno composto in suo
onore, sulle note di Vecchio scarpone, da Roberto D’Agostino, con cui si
scontrò fisicamente in tv: «Vecchio Sgarbone, quanti quadri hai rubato/ e
quanti libri non si trovano più...»). Invece non soltanto è ancora a piede
libero. È sopravvissuto a un mezzo infarto. Con D’Agostino ha fatto pace e
lavorato a Sky Arte. Ed è stato sdoganato a sinistra, coccolato da RaiTre,
pubblicato dalla casa editrice fondata da Umberto Eco (e diretta dalla sorella
futura premier). Coerentemente, il governo Sgarbi apre alla gauche: Carlin
Petrini alla Cultura e all’Agricoltura; il sindaco pd di Milano Beppe Sala ai
Trasporti; Oscar Farinetti allo Sviluppo economico. Ma lei Farinetti non stava
con Renzi? «Vorrei che il mio amico Vittorio continuasse a fare il mestiere in
cui eccelle, il massimo divulgatore della bellezza italiana. In ogni caso, gli
sarò vicino. Condivido pienamente la sua idea che il nostro Paese debba
prendere la strada di un nuovo Rinascimento...».
Il ruolo di Tremonti
Non va sottovalutato neppure l’altro Revenant:
Giulio Tremonti. Già premier ombra dei governi di centrodestra — Berlusconi
badava alla politica estera e agli affari propri, Letta alle nomine, lui a
quasi tutto il resto —, Tremonti orfano di Bossi non si ritrova nella Lega
salviniana e porta le sue idee in Rinascimento. Tipo la riforma fiscale:
esenzione totale fino a 12 mila euro, 15% fino a 36 mila, 25% fino a 500 mila, 30%
fino a un milione, aliquota massima al 35. Qualcuno vedrà la sua impronta
dietro massime immaginifiche tipo «sanità gratuita ma non per i malati
immaginari», «riabilitare lo spettro della lira affiancandola all’euro e
indicando il doppio prezzo dei prodotti», «riconoscere il merito e garantire i
diritti, smascherare la finta meritocrazia, sostenere i senza merito e i
bisognosi con un sussidio minimo garantito per non alimentare illusioni e false
competizioni»; mentre la proposta di riaprire le case di tolleranza e andare a
scuola alle 10 del mattino è quasi certamente di Sgarbi. Altri punti popolari:
abolizione dell’autovelox, della patente a punti, dei limiti di velocità in
autostrada. Inoltre — e questa è certamente di Sgarbi — «tutte le querele per
diffamazione saranno risolte con multe non superiori ai cinquemila euro.
“Capra” si potrà dire gratis».
Per lui la Difesa
Lunga la lista dei sostenitori, non si sa se
convinti o semplicemente incapaci di dire no: Guido Roberto Vitale, Piergaetano
Marchetti (che Sgarbi vorrebbe sottosegretario a Palazzo Chigi, anche se lui
ancora non lo sa), Morgan, Odifreddi, Vissani, Alberoni, Abravanel, Cruciani
della Zanzara, Luca Barbareschi, Buttafuoco. E ancora: Giancarlo Elia Valori,
Guido Maria Brera, Giordano Bruno Guerri, Franco Maria Ricci. E le donne:
Camilla Baresani, Caterina Balivo. Ma quale ministero terrà per sé il leader?
Colpo di scena, se non di Stato: Sgarbi vuole la Difesa. Salvaguardia
dell’unità nazionale? Piano di golpe sgarbista? Invasione della Libia e
annessione dell’Albania? Restyling estetizzante delle divise?
Gli spazi
Eppure non c’è niente da ridere. Perché la
disgregazione della politica, il discredito dei partiti, l’usura dei vecchi
leader — e l’assetto proporzionale del voto — sono tali da aprire spazi. Le
sorprese sono possibili; e una può essere Rinascimento. Tremonti, forse
esagerando, è convinto che superare il 3% non sarà un problema. Del resto,
nella campagna elettorale del 2013 esplose il fenomeno Oscar Giannino, che —
poi ridimensionato dalla storia dei master fantasiosi — prese pur sempre 400
mila voti. E volete che Sgarbi vada peggio?